"Il mito della macchina"
di Lewis Mumford, 1967
Il libro comincia col cercare di
respingere lo stereotipo dell'uomo primitivo che si sviluppa
modellandosi sulle necessità materiali:
“L'uomo moderno si è dato
un'immagine curiosamente deforme di se stesso, interpretando la sua
storia lontana sulla base dei suoi interessi attuali per la
fabbricazione delle macchine e per il dominio della natura. Dopodiché
ha giustificato le sue preoccupazioni di oggi definendo il suo io
preistorico un animale che fabbrica utensili, presumendo che gli
strumenti materiali della produzione dominassero su tutte le
attività. […] Ci sono solidi motivi per credere che sin
dall'inizio il cervello dell'uomo fosse ben più importante delle sue
mani e che le sue dimensioni non potessero derivare soltanto dal
fatto che modellava ed adoperava utensili; che il rito, il linguaggio
e l'organizzazione sociale […] fossero probabilmente i suoi
prodotti più importanti sin dalle prime fasi della storia.”.
Questa
sopravvalutazione dell'impiego degli utensili marginalizza un io
umano distinto da quello animale teso invece a fabbricare simboli,
costruiti con le risorse fornite dal suo corpo: sogni,
immagini e suoni.
Infatti tutto ciò che accade nel cervello può essere
descritto solo servendosi di simboli forniti dalla mente (che
racchiude tutta la storia culturale dell'uomo), e non dal cervello
stesso, che è un organo biologico. La mente non potrebbe esistere
senza l'attività del cervello e dell'intero organismo: esso
registra, combina, accumula e trasmette significati, crea una
sovrabbondanza d'immagini, suoni e simboli che la mente utilizza in
modo indipendente. Non solo: il cervello muore, la mente si
riproduce, può trasporre i simboli immagazzinati su pietra, carta
ecc...che sopravvivono alla morte biologica.
E nell'enorme serbatoio cerebrale i sogni erano il regno
degli antenati, continuavano a vivere misteriosamente le immagini, i
fantasmi e i demoni. Nella dimensione del sogno, l'uomo, indifeso
difronte a un brulicare di mostri ciechi dal profondo, scoprì il
segreto della creatività:
“Questo ci
riconduce a un'ipotesi paradossale, secondo la quale la coscienza può
essere stata istigata dalla disparità tra ambiente interiore, con le
sue immagini inattese e i suoi eventi eccitanti anche se disordinati,
e il mondo esteriore sul quale si svegliava. Che questo stacco tra
mondo interno e esterno non provocasse soltanto perplessità, ma
inducesse a raffronti più approfonditi e imponesse
un'interpretazione? […]...fu il sogno a aprire gli occhi dell'uomo
sulle nuove possibilità della sua vita di veglia”. E
ancora:
“Grazie
alle dimostrazioni scientifiche, ai microscopi, ai telescopi ai raggi
X, oggi sappiamo una cosa che l'uomo primitivo sembra aver scoperto
casualmente nel sogno, e cioè che gran parte del nostro ambiente
sfugge ai nostri sensi e solo un settore limitato dell'esistenza è
passibile di osservazione diretta. Se l'uomo non avesse incontrato
nel sogno i draghi e gli ippogrifi, forse non avrebbe mai concepito
l'atomo”.
Il libro poi procede sullo sviluppo del linguaggio sminuendone
l'aspetto “razionale”, quello della costruzione dei concetti o il
comunicare messaggi precisi, sottolineando invece il sua prospettiva
originaria, ovvero il linguaggio come metafora e mitologia
universale, contenuti simbolici dei sogni. Sarà poi proprio attorno
al simbolo che si strutturerà il mondo umano, fino ad arrivare alla
costruzione della mega-macchina: invisibile sotto il cosmo era
strutturata a partire dal sovrano, ovvero un capo militare assistito
da burocrati e sacerdoti che lavoravano capillarmente per
coinvolgere migliaia di uomini per fini enormi, megalomani e di
fantasia. Questa macchina archetipa teneva insieme la componente
umana col mito (da lì la costruzione per esempio della piramide). La
mega-macchina è coercitiva, totalitaria, autoritaria e militare,
spinta quasi sempre da fantasie distruttive, malata di potere. Il
libro passa in rassegna lo sviluppo di questa macchina nei secoli,
attraverso anche gli orrori del 900 e di oggi aggiungerei io, per
concludere così:
“La
macchina, cominciarono a dire i pensatori 'progressisti', non era
soltanto il modello ideale per spiegare e controllare tutte le
attività organiche ma, per la sua fabbricazione in serie e per i
suoi continui progressi, era la sola che potesse dare un significato
all'esistenza umana. Entro un secolo o due, l'intelaiatura ideologica
che sosteneva l'antica mega-macchina era stata ricostruita su un
nuovo modello nuovo e migliorato. Potenza, velocità, movimento,
standardizzazione, produzione in serie, quantificazione,
irreggimentazione, precisione, uniformità, regolarità astronomica,
controllo, sopratutto controllo, divennero le parole d'ordine della
società moderna alla nuova maniera occidentale”.